Augustin Katz


For my sake, this storm has come

curated by Gigiotto del Vecchio



09/11 2024 - 10/01 2025


via Posillipo 23, Napoli

A conversation between Augustin Katz and Gigiotto Del Vecchio

Gigiotto Del Vecchio: Augustin, how did the idea for this exhibition develop?

Augustin Katz: The concept grew out of my exploration of ‘the architecture of the mind’. I was interested in visualising the subconscious as something spatial - like corridors and rooms that we inhabit. I began to wonder: could this subconscious take the form of a hotel, a villa, or perhaps an endless sewer? Or is it something purely geometric, a theatre stripped of its essence, existing beyond time and space?

GDV: It is a surprising image. Was there a specific element that inspired this vision?

AK: Yes. Looking at the images of the gallery and its outdoor space, the beach: I perceived the presence of the natural elements of Naples - the caves, the volcanoes, the sea - each one imbued with myth and legend. These elements led me to see the subconscious as something vast and primordial, like a whale.

GDV: What does the whale mean to you?

AK: It reminds me of the biblical story of Jonah, where the whale is both punishment and salvation. Within it, Jonah faces loneliness, madness and immense depths, but also finds resilience and redemption. For me, the subconscious is very much like this - a container of intense, often contradictory experiences.

GDV: It’s a powerful interpretation. Did other influences also come into play?

AK: Of course. The story of Jonah made me think of Pinocchio, who also finds himself inside a monstrous creature. In the Disney version, the scenes inside the creature seem like a vast subconscious realm. These representations become part of our collective memory, passed on from generation to generation even as the specific details fade.

GDV: So would you say that your work draws on these shared myths and memories?

AK: Exactly. My work assembles fragments of personal and collective myths, giving them a shape and a setting. This is where my creative process begins.

GDV: The title of the exhibition, For My Sake, This Storm Has Come, is quite evocative. Could you explain its origins

and meaning?

AK: The title reflects Jonah’s abandonment in the biblical story, where he acknowledges his role in causing the storm before being thrown into the sea. This phrase captures themes of surrender, acceptance and liberation, which resonate deeply throughout the exhibition.

GDV: There is a distinctly ‘Disneyesque’ aesthetic in the exhibition…

AK: I chose this style to tap into a visual language that is nostalgic, yet subtly present in our subconscious. Early animations, like Disney’s, carry a kind of melancholy and familiarity that I wanted to evoke. In the story of Jonah, this aesthetic invites the audience to reflect: when you find yourself in the ‘belly of the beast’ close to death or on the verge of rebirth, what do we really long for? Is it the place itself or the memories attached to it?

GDV: Architectural elements play a significant role in your work, especially interiors and furniture.

AK: I see interiors as metaphors for the subconscious. These spaces - be they backdrops, dollhouses or film-like sets - serve as stages for existential reflection. I often include a recurring motif: the black spot, symbolising a looming void or inevitability. It can be seen as a curse, an omen or even a reminder of mortality.

GDV: In the midst of this darkness, you introduce mystical and childlike figures....

AK: These figures embody the existential struggles of life. They are childlike yet otherworldly, radiating an energy that persists through the chaos. Although they may appear unsettling at first, they act as guides, representing resilience and curiosity, qualities that are essential in dealing with life’s uncertainties.

GDV: Your approach to painting often goes beyond traditional figuration.

AK: I see figuration as a surface layer, a description of what we think we are - or perhaps what we are not. I am more attracted to representing spaces and objects, which, for me, express the human experience more deeply than figures. Inanimate forms often capture our inner struggles and emotions in ways that human figures alone cannot.


For My Sake, This Storm Has Come

Una conversazione tra Augustin Katz e Gigiotto Del Vecchio

Gigiotto Del Vecchio: Augustin, come si è sviluppata l’idea per questa mostra?

Augustin Katz: Il concetto è nato dalla mia esplorazione “dell’architettura della mente”. Ero interessato a visualizzare il subconscio come un qualcosa di spaziale — come corridoi e stanze che abitiamo. Ho cominciato a chiedermi: potrebbe questo subconscio assumere la forma di un hotel, una villa o magari un’infinita fogna? O è qualcosa di puramente geometrico, un teatro spogliato della sua essenza, esistente al di là del tempo e dello spazio?

GDV: È un’immagine sorprendente. C’è stato un elemento specifico che ha ispirato questa visione?

AK: Sì. Guardando le immagini della galleria e del suo spazio esterno, la spiaggia: ho percepito la presenza degli elementi naturali di Napoli — le grotte, i vulcani, il mare — ognuno intriso di mito e leggenda. Questi elementi mi hanno portato a vedere il subconscio come qualcosa di vasto e primordiale, come una balena.

GDV: Che significato ha la balena per te?

AK: Mi ricorda la storia biblica di Giona, dove la balena è sia punizione che salvezza. Al suo interno, Giona affronta solitudine, follia e una profondità immensa, ma trova anche resilienza e redenzione. Per me, il subconscio è molto simile a questo — un contenitore di esperienze intense, spesso contraddittorie.

GDV: È un’interpretazione potente. Sono entrate in gioco anche altre influenze?

AK: Certamente. La storia di Giona mi ha fatto pensare a Pinocchio, che si ritrova anche lui all’interno di una creatura mostruosa. Nella versione Disney, le scene all’interno della creatura sembrano un vasto regno subconscio. Queste rappresentazioni diventano parte della nostra memoria collettiva, trasmesse di generazione in generazione anche se i dettagli specifici sbiadiscono.

GDV: Quindi diresti che il tuo lavoro attinge a questi miti e memorie condivise?

AK: Esattamente. Il mio lavoro assembla frammenti di miti personali e collettivi, dando loro una forma e un’ambientazione. Qui è dove inizia il mio processo creativo.

GDV: Il titolo della mostra, For My Sake, This Storm Has Come, è piuttosto evocativo. Potresti spiegare le sue origini e il suo significato?

AK: Il titolo riflette l’abbandono di Giona nella storia biblica, dove riconosce il suo ruolo nel causare la tempesta prima di essere gettato in mare. Questa frase cattura temi di rinuncia, accettazione e liberazione, che risuonano profondamente in tutta la mostra.

GDV: C’è un’estetica distintamente “Disneyana” nella mostra. Cosa ti ha portato a questa scelta stilistica?

AK: Ho scelto questo stile per attingere a un linguaggio visivo nostalgico, ma sottilmente presente nel nostro subconscio. Le prime animazioni, come quelle della Disney, portano una sorta di malinconia e familiarità che volevo evocare. Nella storia di Giona, questa estetica invita il pubblico a riflettere: quando ci si trova nella “pancia della bestia”, vicini alla morte o sul punto di rinascere, cosa desideriamo davvero? È il luogo stesso o i ricordi legati ad esso?

GDV: Gli elementi architettonici svolgono un ruolo significativo nel tuo lavoro, specialmente gli interni e l’arredamento. Come si relazionano con i tuoi temi?

AK: Vedo gli interni come metafore per il subconscio. Questi spazi — che siano sfondi, case delle bambole o set simili aquelli cinematografici — servono come palcoscenici per la riflessione esistenziale. Spesso includo un motivo ricorrente: la macchia nera, che simboleggia un vuoto incombente o un’inevitabilità. Può essere visto come una maledizione, un presagio o persino un promemoria della mortalità.

GDV: In mezzo a questa oscurità, introduci figure mistiche e infantili….

AK: Queste figure incarnano le lotte esistenziali della vita. Sono infantili ma ultraterrene, irradiando un’energia che persiste attraverso il caos. Anche se possono apparire inquietanti all’inizio, agiscono come guide, rappresentando resilienza e curiosità, qualità essenziali per affrontare le incertezze della vita.

GDV: Il tuo approccio alla pittura spesso va oltre la figurazione tradizionale.

AK: Vedo la figurazione come uno strato superficiale, una descrizione di ciò che pensiamo di essere — o forse di ciò che non siamo. Sono più attratto dal rappresentare spazi e oggetti, che, per me, esprimono l’esperienza umana più profondamente delle figure. Le forme inanimate spesso catturano le nostre lotte e emozioni interiori in modi che le sole figure umane non possono.